Sulla previsualizzazione
- Carlo Riggi
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Sulla previsualizzazione
La felicità è fatta di attimi di dimenticanza *
Con il termine “previsualizzazione” indichiamo la capacità del fotografo di prefigurare nella sua mente il risultato finale di uno scatto, al netto dello sviluppo e della eventuale postproduzione. Una dote importante, visto che la fotografia – analogica o digitale che sia – attraversa un processo intermedio (tecnologico, meccanico, chimico o elettronico), durante il quale il fotografo non ha quasi alcuna possibilità di intervento, e a cui si limita a dare avvio e una prima direzione.
Si potrebbe pensare che la previsualizzazione avvenga sempre molto tempo prima dello scatto, magari al momento uscire di casa per fotografare. Per molti, in effetti, la fotografia si riconduce alla realizzazione il più fedele possibile di un'idea già ben strutturata nella propria mente. Una concezione attiva del fotografare, totalmente dipendente dall'intenzione dell'autore.
Non funziona sempre così.
Per me, realizzare una fotografia è qualcosa di assai meno precostituito. Una fotografia è frutto dell'effetto combinato di una predisposizione d'animo, solo in parte consapevole, dello strumento in uso e dell'incontro con un dato di realtà. Ciascuno di questi elementi impone una propria “volontà”. In questa logica, la previsualizzazione non è solo una capacità prefigurativa del risultato finale (immaginare i passaggi tecnici attraverso i quali si possa arrivare all'esito desiderato, adattando all'uopo i parametri di scatto), previsualizzare è interrogare la materia, entrare con essa in un dialogo silente e profondo. Come dico spesso, gli oggetti, se li guardiamo a lungo, con intenzione, dopo un poco ci parlano. È in quel momento che prende origine la fotografia, è a quel punto che possiamo iniziare a “vederla”. Non come frutto di un proposito esplicito, ma come esito dinamico di un confronto, di una suggestione, di una negoziazione emotiva tra fotografo e soggetto, mediata dalla fotocamera. Frutto di un sogno, potremmo dire, non come raffigurazione di un sogno precedentemente avvenuto: penso al fotografare come in se stesso sognare.
Previsualizzare è realizzare una sintesi tra più elementi: preconcezione, perturbazione emotiva, condizioni ambientali, soggetto, dotazione tecnica, caso. A questi va aggiunto lo stile personale.
Lo stile non è una coazione, un vezzo, un tic o, peggio, una furberia del marketing. Lo stile è la sintonia profonda che ci permette di meglio interpretare le nostre istanze emozionali in continua evoluzione. L'affinamento dello stile personale presuppone studio, fatica, sofferenza, introspezione. Se lo stile segue unicamente le leggi del compiacimento o del gradimento formale, esso non potrà mai essere al servizio della capacità espressiva e trasfigurativa dell'autore, ma si ridurrà a un mero processo emulativo ed autocelebrativo. Fotografare diventa copiare se stessi: una fredda e vuota stereotipia. Come capita a certi autori, che ripetono pavlovianamente sempre la stessa foto, quell'unico pattern che ha dato loro riconoscibilità, gratificazione e successo, e dal quale non sanno, o non vogliono, distaccarsi.
L'originalità dello stile non consiste nel proporre qualcosa di mai visto, stravagante o funambolico, ma nella capacità di essere il più possibile in contatto con se stessi e, senza troppi preset, all'unisono col dato di realtà. È la capacità di ricombinare gli assetti, ristrutturare il campo e disporsi in tempo reale all'incontro con l’altro, è fotografare quel che senti e non quel che sai, rinunciare a sovrastrutture e preconcetti, abbandonandosi a felici momenti di dimenticanza. È “perdersi a guardare”, come direbbe il Maestro Jodice. È provare a previsualizzare usando gli occhi del cuore.
* Antonio De Curtis – Totò
Con il termine “previsualizzazione” indichiamo la capacità del fotografo di prefigurare nella sua mente il risultato finale di uno scatto, al netto dello sviluppo e della eventuale postproduzione. Una dote importante, visto che la fotografia – analogica o digitale che sia – attraversa un processo intermedio (tecnologico, meccanico, chimico o elettronico), durante il quale il fotografo non ha quasi alcuna possibilità di intervento, e a cui si limita a dare avvio e una prima direzione.
Si potrebbe pensare che la previsualizzazione avvenga sempre molto tempo prima dello scatto, magari al momento uscire di casa per fotografare. Per molti, in effetti, la fotografia si riconduce alla realizzazione il più fedele possibile di un'idea già ben strutturata nella propria mente. Una concezione attiva del fotografare, totalmente dipendente dall'intenzione dell'autore.
Non funziona sempre così.
Per me, realizzare una fotografia è qualcosa di assai meno precostituito. Una fotografia è frutto dell'effetto combinato di una predisposizione d'animo, solo in parte consapevole, dello strumento in uso e dell'incontro con un dato di realtà. Ciascuno di questi elementi impone una propria “volontà”. In questa logica, la previsualizzazione non è solo una capacità prefigurativa del risultato finale (immaginare i passaggi tecnici attraverso i quali si possa arrivare all'esito desiderato, adattando all'uopo i parametri di scatto), previsualizzare è interrogare la materia, entrare con essa in un dialogo silente e profondo. Come dico spesso, gli oggetti, se li guardiamo a lungo, con intenzione, dopo un poco ci parlano. È in quel momento che prende origine la fotografia, è a quel punto che possiamo iniziare a “vederla”. Non come frutto di un proposito esplicito, ma come esito dinamico di un confronto, di una suggestione, di una negoziazione emotiva tra fotografo e soggetto, mediata dalla fotocamera. Frutto di un sogno, potremmo dire, non come raffigurazione di un sogno precedentemente avvenuto: penso al fotografare come in se stesso sognare.
Previsualizzare è realizzare una sintesi tra più elementi: preconcezione, perturbazione emotiva, condizioni ambientali, soggetto, dotazione tecnica, caso. A questi va aggiunto lo stile personale.
Lo stile non è una coazione, un vezzo, un tic o, peggio, una furberia del marketing. Lo stile è la sintonia profonda che ci permette di meglio interpretare le nostre istanze emozionali in continua evoluzione. L'affinamento dello stile personale presuppone studio, fatica, sofferenza, introspezione. Se lo stile segue unicamente le leggi del compiacimento o del gradimento formale, esso non potrà mai essere al servizio della capacità espressiva e trasfigurativa dell'autore, ma si ridurrà a un mero processo emulativo ed autocelebrativo. Fotografare diventa copiare se stessi: una fredda e vuota stereotipia. Come capita a certi autori, che ripetono pavlovianamente sempre la stessa foto, quell'unico pattern che ha dato loro riconoscibilità, gratificazione e successo, e dal quale non sanno, o non vogliono, distaccarsi.
L'originalità dello stile non consiste nel proporre qualcosa di mai visto, stravagante o funambolico, ma nella capacità di essere il più possibile in contatto con se stessi e, senza troppi preset, all'unisono col dato di realtà. È la capacità di ricombinare gli assetti, ristrutturare il campo e disporsi in tempo reale all'incontro con l’altro, è fotografare quel che senti e non quel che sai, rinunciare a sovrastrutture e preconcetti, abbandonandosi a felici momenti di dimenticanza. È “perdersi a guardare”, come direbbe il Maestro Jodice. È provare a previsualizzare usando gli occhi del cuore.
* Antonio De Curtis – Totò
Ciao
Carlo
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- MarcoBiancardi
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Re: Sulla previsualizzazione
Grazie, Carlo.
E' sempre interessante e stimolante leggere le tue considerazioni, che vanno lette (e rilette) con attenzione e poi ponderate, prima di poter scrivere qualcosa a commento.
La tua idea di Fotografia mette in evidenza la preminenza data al versante emotivo - istintivo, in parte anche inconscio e irrazionale, presente nell'atto di scattare una fotografia, proprio quello che la maggior parte di noi tende invece a trascurare, a non considerare, attratti e coinvolti come siamo in tutti quei tecnicismi, negli aspetti più vilmente fisico (e/o chimico) - meccanici, che pensiamo di poter padroneggiare a nostro piacimento per ottenere il risultato voluto.
Proprio questo, mi pare, era il significato che Ansel Adams dava al termine di previsualizzazione davanti a una scena reale, nella gran maggioranza dei casi della sua opera un paesaggio: utilizare tutto il suo grande bagaglio di conoscenze tecniche, di esposizione del negativo e di chimica fotografica per ottenere, già in fase di ripresa, la base materiale per la stampa finale riproducente la scena secondo la sua interpretazione già preconizzata fin dall'inizio, in contrasto con quella quasi assente possibilità di intervento manipolatorio del fotografo di cui invece tu parli.
Diverso infatti è per te il significato che dai al termine previsualizzare: quello di un coinvolgimento emozionale e affettivo con il soggetto fotografato, lasciando in parte al mezzo e alla tecnica utilizzati, quasi con una loro insita autonomia espressiva solo fino a un certo punto modulabile, il compito di rendere esplicita l'interpretazione del soggetto e il risultato finale.
Sono spunti molto interessanti, su cui meditare.
E' sempre interessante e stimolante leggere le tue considerazioni, che vanno lette (e rilette) con attenzione e poi ponderate, prima di poter scrivere qualcosa a commento.
La tua idea di Fotografia mette in evidenza la preminenza data al versante emotivo - istintivo, in parte anche inconscio e irrazionale, presente nell'atto di scattare una fotografia, proprio quello che la maggior parte di noi tende invece a trascurare, a non considerare, attratti e coinvolti come siamo in tutti quei tecnicismi, negli aspetti più vilmente fisico (e/o chimico) - meccanici, che pensiamo di poter padroneggiare a nostro piacimento per ottenere il risultato voluto.
Proprio questo, mi pare, era il significato che Ansel Adams dava al termine di previsualizzazione davanti a una scena reale, nella gran maggioranza dei casi della sua opera un paesaggio: utilizare tutto il suo grande bagaglio di conoscenze tecniche, di esposizione del negativo e di chimica fotografica per ottenere, già in fase di ripresa, la base materiale per la stampa finale riproducente la scena secondo la sua interpretazione già preconizzata fin dall'inizio, in contrasto con quella quasi assente possibilità di intervento manipolatorio del fotografo di cui invece tu parli.
Diverso infatti è per te il significato che dai al termine previsualizzare: quello di un coinvolgimento emozionale e affettivo con il soggetto fotografato, lasciando in parte al mezzo e alla tecnica utilizzati, quasi con una loro insita autonomia espressiva solo fino a un certo punto modulabile, il compito di rendere esplicita l'interpretazione del soggetto e il risultato finale.
Sono spunti molto interessanti, su cui meditare.
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Re: Sulla previsualizzazione
Ciao, secondo me in queste questioni assumendo una posizione univoca si rischia di perdere qualcosa; posso parlare solo per la mia esperienza, c'è stato un periodo in cui mi piaceva fotografare a colori in 6x6 i quartieri della mia città, Milano, con luci artificiali per la maggior parte, spesso annotandomi la loro posizione geografica per poi tornarvi quando le condizioni di luci funzionavano, e previsualizzare il risultato che volevo ottenere, una notte che potesse essere confusa con il giorno, mi faceva molto comodo e rispondeva al risultato che avevo in mente. Ultimamente invece, complice l'uso in tutta semplicità di una Olympus Pen 18x24 e dell'approccio molto tranquillo, divertente, immediato, un invito alla casualità, che si porta con sè mi piace molto di più lasciarmi sorprendere dai soggetti, dai momenti, dalle minime scoperte, e il negativo sviluppato senza nessuna aspettativa di adesione a un'idea precostituita mi riempie di gioia infantile. Insomma per quanto mi riguarda va bene tutto quello che fa stare bene, fotograficamente, in quel particolare periodo. Un saluto.
- Carlo Riggi
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Re: Sulla previsualizzazione
Marco, se penso ad un autore ai miei antipodi (come ispirazione, come qualità siamo su pianeti diversi) è proprio Ansel Adams. Apprezzo le sue foto, ovviamente, ma non mi accendono.
Eppure, io credo che lui abbia sognato i suoi paesaggi più di quanto avrebbe mai ammesso. La materia gli ha parlato, ne sono certo, anche se, con la sua debordante bravura, lui col dato di realtà ci ha fatto a braccio di ferro. Per rispettarne le fattezze, si dice, per dominarlo, penso io.
Pier Maria, la mia posizione racconta di me, ovviamente. Spero non traspaia im nessuna parte una mancanza di rispetto per le posizioni altrui.
Sono d'accordo con te, ben venga tutto ciò che fa star bene. Se fa star bene anche gli altri, meglio ancora.
Eppure, io credo che lui abbia sognato i suoi paesaggi più di quanto avrebbe mai ammesso. La materia gli ha parlato, ne sono certo, anche se, con la sua debordante bravura, lui col dato di realtà ci ha fatto a braccio di ferro. Per rispettarne le fattezze, si dice, per dominarlo, penso io.
Pier Maria, la mia posizione racconta di me, ovviamente. Spero non traspaia im nessuna parte una mancanza di rispetto per le posizioni altrui.
Sono d'accordo con te, ben venga tutto ciò che fa star bene. Se fa star bene anche gli altri, meglio ancora.
Ciao
Carlo
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Re: Sulla previsualizzazione
condivido molto, specie questo passaggio citato...Carlo Riggi ha scritto: ↑gio feb 21, 2019 3:38 pmPrevisualizzare è realizzare una sintesi tra più elementi: preconcezione, perturbazione emotiva, condizioni ambientali, soggetto, dotazione tecnica, caso.
io ogni tanto riesco a previsualizzare quando mi lascio andare, mollo il controllo, improvviso e mi affido maggiormente al caso; un po' come fa la nonna per la sua torta quando aggiunge gli ingredienti "ad occhio" per trovare la consistenza giusta, usando quello che c' e' in casa, adattando e plasmando la ricetta per le proprie esigenze, non si tratta di esperienza acquisita (una nonna ha fatto molte torte in vita sua) ma di lasciarsi andare, di improvvisare...
c' e' un momento a volte, (mi e' capitato raramente) che invece di fotografare si crea una specie di torta fotografica, utilizzando tutti gli elementi a disposizione si procede sapendo gia' quello che si deve fare, senza tentennamenti, dubbi, perplessita' o paura di sbagliare, in quel momento so che da qualche parte ho previsualizzato la mia foto.
otto.
Re: Sulla previsualizzazione
Sempre un piacere leggerti,Carlo. Un unico appunto.... "Principe" Antonio de Curtis...
Maurizio Cassese
- Carlo Riggi
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Re: Sulla previsualizzazione
Molto interessante Carlo questo tuo scritto, come tutti quelli presenti qui nel forum.Carlo Riggi ha scritto: ↑gio feb 21, 2019 3:38 pmLo stile non è una coazione, un vezzo, un tic o, peggio, una furberia del marketing. Lo stile è la sintonia profonda che ci permette di meglio interpretare le nostre istanze emozionali in continua evoluzione. L'affinamento dello stile personale presuppone studio, fatica, sofferenza, introspezione. Se lo stile segue unicamente le leggi del compiacimento o del gradimento formale, esso non potrà mai essere al servizio della capacità espressiva e trasfigurativa dell'autore, ma si ridurrà a un mero processo emulativo ed autocelebrativo. Fotografare diventa copiare se stessi: una fredda e vuota stereotipia. Come capita a certi autori, che ripetono pavlovianamente sempre la stessa foto, quell'unico pattern che ha dato loro riconoscibilità, gratificazione e successo, e dal quale non sanno, o non vogliono, distaccarsi.
Mi permetto di quotare la parte che, attualmente, è il linea con il mio pensiero, in special modo quella che ho "grassettato", magari aggiungendovi anche, dopo fatica e sofferenza, "qualche esaurimento nervoso".
Un cordiale saluto.
Pietro.
- Carlo Riggi
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