Cosa vuol dire "amatoriale"?
Inviato: dom mag 12, 2019 10:01 am
L'etichetta di "fotografia amatoriale" è usata talvolta in senso dispregiativo. Ma cosa si intende per amatoriale?
Per me, una fotografia è amatoriale quando è frutto di un processo percettivo già usato, e logorato. Un'azione mossa da un istinto emulativo, del tutto priva di slancio autoriale.
Si dice che non può più esistere una fotografia originale, poiché tutto ormai è già visto. In parte è vero, tanto più oggi, esposti come siamo ad un vero e proprio diluvio di immagini.
A maggior ragione, proprio perché l'originalità non è più un obiettivo perseguibile, diventano centrali altri parametri di valutazione.
Come dico spesso, non abbiamo bisogno di belle immagini (ne siamo pieni), ma di riconoscibili percorsi di senso. La foto amatoriale è quella che si adagia sulla bellezza, sull¹esaltazione del primo incontro, sulla ricerca di un consenso immediato e confortevole. Non di rado sono foto più "belle" di quelle etichettabili come autoriali, più sature, più attraenti e coinvolgenti. Altrettanto spesso, si tratta di immagini destinate a sbiadire presto, a non trovare un posto stabile nell'immaginario (perché quel posto è già occupato). La loro bellezza è la loro disgrazia, la causa della loro precoce evanescenza. Le riconosciamo immediatamente come belle perché le "sappiamo" (la Crusca chiuda un occhio), rientrano in una categoria che già ci appartiene. Ci piacciono ma non ci toccano; ci appagano, ma non ci ghermiscono.
Anche la foto autoriale, naturalmente, può essere bella. La bellezza può pure essere la cifra stilistica di alcuni autori. Ma non è indispensabile che lo sia. L'opera autoriale fa parte di una ricerca, di un percorso, di un pensiero costante, su se stessi e sul mondo. In questo la fotografia non è dissimile dalla psicoanalisi.
Attraverso di essa, il fruitore, consapevole della chiave di lettura e dal filtro offerti da quel fotografo, contatta esperienze ed emozioni da cui si lascia contaminare, e da cui lascia gemmare nuove derive di senso.
La fotografia autoriale è caratterizzata da una coerenza intima, legata indissolubilmente a colui che la propone, ma anche ai suoi fruitori, che compartecipano alla continua espansione dei suoi significati.
Si sarà notato che non oppongo ad "amatoriale" il termine "professionale". Il professionismo è una faccenda assai complessa. Si dice, forse ingenerosamente, che la fotografia sia il più bello degli hobbies e la peggiore delle professioni. Non sono un fotografo professionista e non posso dire se ciò sia vero. Ma certo, se penso ai fotogiornalisti, ai fotografi di moda o di sport, ai matrimonialisti, trovo abbastanza claustrofobica l¹idea di sottostare alle esigenze, anche quantitative, di un committente esterno. Questo però è un vincolo comune a tutti i mestieri, e spesso i fotografi professionisti si ritagliano anche una quota di attività del tutto personale e libera da schemi e obblighi, con quei tempi e spazi di introspezione necessari per fare di questa attività un'arte.
Dedico la nota conclusiva al concetto di amore.
La dico in modo brusco: il fotografo non può mai davvero essere un amante della fotografia. Essa per lui è dannazione, tormento, fatica. È l¹imbuto stretto da cui passano a stento le sue rappresentazioni profonde, evacuazioni necessarie di elementi grezzi non altrimenti elaborabili. È la vescica infiammata da cui transitano scorie emotive ruvide e incandescenti.
Può essere amore/odio al massimo, una sindrome di Stoccolma, una sorta di legame affettivo col proprio aguzzino, ma amore proprio no. L¹idea del fotoamatore è dunque concettualmente antipodica a quella di autore.
Il fotografo può amare le sue fotocamere, perché sono le compagne della sua ossessione, il feticcio che lenisce le ferite, placa le angosce di perdita, colma le vertigini di vuoto. Ma la fotografia in quanto tale no, non può essere amata.
La fotografia è tormento, salvezza e dannazione. Non è un balocco, non diverte.
Si può essere gratificati dal consenso, dalle mostre, dalle pubblicazioni. Ma quando il piacere sopravanza di troppo la fatica, quando il narcisismo prevale sulla responsabilità, in quel momento la fotografia sta diventando altro.
Ci si chiede spesso, oggi, cosa distingua il fotografo dalla miriade di appassionati. L'applicazione, senz'altro, ma, aggiungo io, anche la qualità del sentimento: il fotografo non è mai veramente un foto-amatore.
Un foto-dipendente, al massimo.
Per me, una fotografia è amatoriale quando è frutto di un processo percettivo già usato, e logorato. Un'azione mossa da un istinto emulativo, del tutto priva di slancio autoriale.
Si dice che non può più esistere una fotografia originale, poiché tutto ormai è già visto. In parte è vero, tanto più oggi, esposti come siamo ad un vero e proprio diluvio di immagini.
A maggior ragione, proprio perché l'originalità non è più un obiettivo perseguibile, diventano centrali altri parametri di valutazione.
Come dico spesso, non abbiamo bisogno di belle immagini (ne siamo pieni), ma di riconoscibili percorsi di senso. La foto amatoriale è quella che si adagia sulla bellezza, sull¹esaltazione del primo incontro, sulla ricerca di un consenso immediato e confortevole. Non di rado sono foto più "belle" di quelle etichettabili come autoriali, più sature, più attraenti e coinvolgenti. Altrettanto spesso, si tratta di immagini destinate a sbiadire presto, a non trovare un posto stabile nell'immaginario (perché quel posto è già occupato). La loro bellezza è la loro disgrazia, la causa della loro precoce evanescenza. Le riconosciamo immediatamente come belle perché le "sappiamo" (la Crusca chiuda un occhio), rientrano in una categoria che già ci appartiene. Ci piacciono ma non ci toccano; ci appagano, ma non ci ghermiscono.
Anche la foto autoriale, naturalmente, può essere bella. La bellezza può pure essere la cifra stilistica di alcuni autori. Ma non è indispensabile che lo sia. L'opera autoriale fa parte di una ricerca, di un percorso, di un pensiero costante, su se stessi e sul mondo. In questo la fotografia non è dissimile dalla psicoanalisi.
Attraverso di essa, il fruitore, consapevole della chiave di lettura e dal filtro offerti da quel fotografo, contatta esperienze ed emozioni da cui si lascia contaminare, e da cui lascia gemmare nuove derive di senso.
La fotografia autoriale è caratterizzata da una coerenza intima, legata indissolubilmente a colui che la propone, ma anche ai suoi fruitori, che compartecipano alla continua espansione dei suoi significati.
Si sarà notato che non oppongo ad "amatoriale" il termine "professionale". Il professionismo è una faccenda assai complessa. Si dice, forse ingenerosamente, che la fotografia sia il più bello degli hobbies e la peggiore delle professioni. Non sono un fotografo professionista e non posso dire se ciò sia vero. Ma certo, se penso ai fotogiornalisti, ai fotografi di moda o di sport, ai matrimonialisti, trovo abbastanza claustrofobica l¹idea di sottostare alle esigenze, anche quantitative, di un committente esterno. Questo però è un vincolo comune a tutti i mestieri, e spesso i fotografi professionisti si ritagliano anche una quota di attività del tutto personale e libera da schemi e obblighi, con quei tempi e spazi di introspezione necessari per fare di questa attività un'arte.
Dedico la nota conclusiva al concetto di amore.
La dico in modo brusco: il fotografo non può mai davvero essere un amante della fotografia. Essa per lui è dannazione, tormento, fatica. È l¹imbuto stretto da cui passano a stento le sue rappresentazioni profonde, evacuazioni necessarie di elementi grezzi non altrimenti elaborabili. È la vescica infiammata da cui transitano scorie emotive ruvide e incandescenti.
Può essere amore/odio al massimo, una sindrome di Stoccolma, una sorta di legame affettivo col proprio aguzzino, ma amore proprio no. L¹idea del fotoamatore è dunque concettualmente antipodica a quella di autore.
Il fotografo può amare le sue fotocamere, perché sono le compagne della sua ossessione, il feticcio che lenisce le ferite, placa le angosce di perdita, colma le vertigini di vuoto. Ma la fotografia in quanto tale no, non può essere amata.
La fotografia è tormento, salvezza e dannazione. Non è un balocco, non diverte.
Si può essere gratificati dal consenso, dalle mostre, dalle pubblicazioni. Ma quando il piacere sopravanza di troppo la fatica, quando il narcisismo prevale sulla responsabilità, in quel momento la fotografia sta diventando altro.
Ci si chiede spesso, oggi, cosa distingua il fotografo dalla miriade di appassionati. L'applicazione, senz'altro, ma, aggiungo io, anche la qualità del sentimento: il fotografo non è mai veramente un foto-amatore.
Un foto-dipendente, al massimo.