La fiamma del peccato
Inviato: mar gen 05, 2021 9:39 am
Ho davanti a me il famoso (famigerato?) “London”, di Gian Butturini, appena acquistato.
Per chi non conoscesse la storia, questo libro, pubblicato nel 1969 e ristampato nel 2017 dall'editore Damiani dopo l'entusiastica riscoperta da parte di Martin Parr, è stato duramente contestato per i suoi contenuti ritenuti razzisti, fino a chiederne il ritiro e la distruzione.
Fortunatamente, l'editore ha resistito al montare delle proteste e oggi è ancora possibile acquistarlo in libreria.
Martin Parr, invece, messo alle strette da una opinione pubblica sempre più ostile e dal rischio di perdere incarichi importanti, ha di fatto ripudiato il libro, scusandosi per non essersi accorto dei suoi contenuti razzisti.
Non voglio ripercorrere tutta la vicenda, basti sapere che la pietra dello scandalo è stata l'accostamento a doppia pagina della foto di una bigliettaia della metropolitana, seduta al suo banco di lavoro dentro un gabbiotto trasparente, e un gorilla in gabbia. La storia personale di Butturini induce a pensare che egli volesse senz'altro denunciare la condizione della donna ed empatizzare con lei, ma l'accostamento è stato scambiato per un insulto discriminatorio e, come tale, stigmatizzato.
Non mi inoltro, la storia dell'arte è piena di incomprensioni e scandali, chi vuol informarsi sui dettagli della vicenda trova tutte le informazioni in rete, a partire dal bell'articolo di Michele Smargiassi su Fotocrazia: https://smargiassi-michele.blogautore.r ... -halliday/
Salta agli occhi l'analogia con un altro fatto recente, le critiche a Letizia Battaglia sulle sue foto per Lamborghini. Le accuse fatte alla grande fotografa sono state di proporre un modello di “lolitismo” in salsa sicula, con discinte adolescenti sistemate a bella posa secondo cliché maschilisti tra i più beceri. Detto che non ho amato quelle foto, ho trovato francamente surreali le accuse. Basterebbe sfogliare una o due pagine della biografia di “donna Letizia” per mettere in ridicolo una simile lettura. Eppure, la corsa ad individuare il peccato non contempla approfondimento. Basta la visione di superficie: si fa due più due e lo scandalo è servito. Il rogo evocato.
A forza di “Iene” e “Strisce” siamo diventati un popolo di complottisti e delatori. Il sospetto supera la ragione, e qualunque provocazione diventa dissacrazione, da smascherare e cancellare, colpa da redimere col fuoco.
Siamo in pieno rigurgito revisionista. Adesso anche “Grease”, lo scanzonato musical con John Travolta e Olivia Newton Jones è al centro di pesanti critiche e richieste di censura per i suoi presunti contenuti sessisti e omofobi. Questa deriva inquisitoria è sciocca e caricaturale, ma non per questo meno inquietante, adesso pure impegnata a scandagliare teche e archivi in cerca di materiale da espurgare. E Dio non voglia che qualcuno butti l'occhio sui film di Fellini…
Ma, e gli artisti?
Sconcerta l'atteggiamento di Parr, quasi un autodafé, un'abiura tardiva e ipocrita, dettata evidentemente dalla messa a rischio di cospicui interessi economici. Ma stupisce anche la cedevolezza di Battaglia che, evidentemente offesa e delusa da critiche così volgari, ha ritirato le sue foto. Nel suo caso si può comprendere il dolore, lei sempre dalla parte degli ultimi, testimone e paladina del riscatto delle donne, accusata di mercificare delle bambine. Dai due grandi fotografi ci saremmo però aspettati una maggiore caparbietà, una resistenza strenua a difesa della legittimità, del dovere persino, dell'arte di esprimere contenuti anche provocatori, capaci di far discutere, di scuotere le coscienze.
Non è in discussione qui il diritto di critica. Si possono benissimo biasimare Battaglia e Butturini, aborrire “Grease”, persino discutere “8 e mezzo” e “La dolce vita”, ammesso di averne gli strumenti. Ma sarebbe utile farlo contestualizzando ciascuna opera all'interno del proprio tempo, rilevandone gli eventuali progressivi scostamenti di senso, le specificità semantiche, culturali, antropologiche.
Quel che non si dovrebbe mai fare è di chiedere l'eliminazione di quelle opere. E non perché siano tutti capolavori, apprezzabili o condivisibili, ma perché, come dice brillantemente Smargiassi, la loro eliminazione provocherebbe dei buchi, “spazi vuoti, privi di senso, dove la storia aveva messo qualcosa che non ci viene più permesso di sapere cosa fosse, che non possiamo più conoscere, quindi giudicare e dunque neppure contestare e rifiutare, perché qualcuno si è arrogato il diritto di pensare al posto nostro”.
Vorrei che gli artisti facessero spalle più larghe nel difendere i propri lavori, anche i più controversi e contestati. Se non loro, chi?
Mi piacerebbe pure che noi fotoamatori acquistassimo questo volume di Butturini, al di là del suo valore, come segno di resistenza civile contro ogni tipo di oscurantismo e di paranoia. Malattie da cui noi fotografi rischiamo oggi di essere particolarmente danneggiati.