A lezione da Calvino
Inviato: sab lug 28, 2018 5:33 pm
Tra il 1985 e il 1986, Italo Calvino tenne un ciclo di conferenze presso l'Università di Harvard, raccolte nel celebre libro dal titolo “Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio”. Il tema delle lezioni era la “Poetry”, intesa in senso estensivo come ogni forma di comunicazione poetica: letteraria, musicale, figurativa. Val la pena di vedere se e come le riflessioni di Calvino possano interrogarci come fotografi, in questo nostro millennio tutto da esplorare.
La prima conferenza ha per tema la Leggerezza. Quella di cui parla Calvino è la leggerezza della pensosità, non della frivolezza. Parliamo di leggerezza formale, dunque, la necessità di non lasciarsi eccessivamente schiacciare dal peso del reale, lasciando alla mente l’agio di librarsi verso nuovi versanti di senso. A mio avviso, questo vale per i fotografi in due sensi: 1) il richiamo a non saturare troppo i fotogrammi, appoggiandosi passivamente al peso specifico di eventi forti, con l’esercizio di uno sguardo troppo diretto e centrato; 2) non dare troppo peso all'aspetto tecnico, che pure è presente, ma di cui non deve mai trasparire la fatica.
“Un verso solo può esigere molte ore; ma se non sembra il dono di un attimo, il nostro tessere e il nostro disfare sono inutili”, scrive Yeats.
La Rapidità, tema della seconda conferenza, ha a che fare con la leggerezza lì dove l’autore viene invitato a spogliare l’opera di dettagli che le farebbero perdere il tempo e il ritmo. Abbiamo più volte esaltato il valore della lentezza, in fotografia e non solo, ma riguardo alla realizzazione delle immagini. Calvino invece si riferisce al prodotto finito, che dev’essere “a tempo”, con una metrica concisa, un linguaggio appropriato e senza inutili orpelli. Segni e gesti diretti e rapidi, a cui, prima e dopo, può anche accompagnarsi un lungo pensiero. Il tempo di Mercurio e quello di Vulcano, dice lo scrittore, un messaggio d'immediatezza ottenuto a forza d'aggiustamenti pazienti e meticolosi.
Parlando di Esattezza, Calvino evoca la “peste del linguaggio”, che per lui consiste nella scadente forza conoscitiva della parola. La perdita di esattezza, nel nostro campo, è frutto anche dell'aumento esponenziale delle immagini, con conseguente scadimento della capacità di “studiarle”. Lo stesso vale per il numero di scatti durante le nostre sessioni. Fateci caso, quando ne facciamo uno, in genere è preciso, se ne facciamo cinque, sei, dieci, come spesso induce a fare il digitale, ciascuno di essi conterrà un piccolo difetto e nessuno ci appagherà pienamente.
Il tema della Visibilità può sembrare scontato per noi fotografi. Ma credo che Calvino si riferisse all'immaginazione, alle immagini mentali, più che a quelle reali. Dunque alla memoria. E questo ci riguarda, eccome. Compito del fotografo è trasfigurare una percezione, un contenuto retinico, fino a favorire la costruzione di una sensazione, di un’emozione, o addirittura di un pensiero, che lega passato, presente e futuro. L’immagine, nella psiche umana, è l’anello intermedio tra l’emozione e la parola. Il fotografo lavora esattamente in quello spazio transitorio, e sarà tanto più bravo, penso io, quanto più riuscirà a trasformare la visibilità in visionarietà. L'essenziale, ci ricorda Saint Exupéry, è invisibile agli occhi.
Auspicare rapidità, esattezza, leggerezza non significa che una foto debba essere un fatto effimero, o debba occuparsi di un unico campo semantico. Un singolo segno può creare infiniti rimandi e toccare una Molteplicità di significati. La fotografia, per serendipità, può svelare versanti di senso che neanche sapeva di cercare. Ed è questo, più di tutto, che la rende interessante ai miei occhi.
L'ultima lezione di Calvino riguarda il Cominciare e il Finire. Credo che in una fotografia la fine sia sempre qualcosa che eccede i limiti materiali del fotogramma. Credo nelle immagini come generatrici di storie, quindi la fine, se c'è, è sempre qualcosa che riguarda i fruitori (compreso l’autore, fruitore della propria stessa immagine). Quanto al cominciare, una cosa possiamo dire senza tema di smentite: l'inizio di una fotografia è sempre un dato di realtà. Altrimenti stiamo parlando di un’altra Arte.
Non vorrei aver piegato arbitrariamente il pensiero di Calvino sul mio. Se così fosse, me ne scuso. D'altronde questo è il destino di uno scritto, come pure di una fotografia: essere introiettato, masticato e travisato... ciascuno come vuole o come può, al di là delle intenzioni dell'autore. Capiterà lo stesso anche a questo mio piccolo testo.
Sulla scorta di queste brevi riflessioni, preoccupato per il cimento ma pieno di buone intenzioni, mi accingo a iniziare il mio già annunciato modesto progetto di “una foto al giorno” per il prossimo mese di agosto. Stay tuned!
La prima conferenza ha per tema la Leggerezza. Quella di cui parla Calvino è la leggerezza della pensosità, non della frivolezza. Parliamo di leggerezza formale, dunque, la necessità di non lasciarsi eccessivamente schiacciare dal peso del reale, lasciando alla mente l’agio di librarsi verso nuovi versanti di senso. A mio avviso, questo vale per i fotografi in due sensi: 1) il richiamo a non saturare troppo i fotogrammi, appoggiandosi passivamente al peso specifico di eventi forti, con l’esercizio di uno sguardo troppo diretto e centrato; 2) non dare troppo peso all'aspetto tecnico, che pure è presente, ma di cui non deve mai trasparire la fatica.
“Un verso solo può esigere molte ore; ma se non sembra il dono di un attimo, il nostro tessere e il nostro disfare sono inutili”, scrive Yeats.
La Rapidità, tema della seconda conferenza, ha a che fare con la leggerezza lì dove l’autore viene invitato a spogliare l’opera di dettagli che le farebbero perdere il tempo e il ritmo. Abbiamo più volte esaltato il valore della lentezza, in fotografia e non solo, ma riguardo alla realizzazione delle immagini. Calvino invece si riferisce al prodotto finito, che dev’essere “a tempo”, con una metrica concisa, un linguaggio appropriato e senza inutili orpelli. Segni e gesti diretti e rapidi, a cui, prima e dopo, può anche accompagnarsi un lungo pensiero. Il tempo di Mercurio e quello di Vulcano, dice lo scrittore, un messaggio d'immediatezza ottenuto a forza d'aggiustamenti pazienti e meticolosi.
Parlando di Esattezza, Calvino evoca la “peste del linguaggio”, che per lui consiste nella scadente forza conoscitiva della parola. La perdita di esattezza, nel nostro campo, è frutto anche dell'aumento esponenziale delle immagini, con conseguente scadimento della capacità di “studiarle”. Lo stesso vale per il numero di scatti durante le nostre sessioni. Fateci caso, quando ne facciamo uno, in genere è preciso, se ne facciamo cinque, sei, dieci, come spesso induce a fare il digitale, ciascuno di essi conterrà un piccolo difetto e nessuno ci appagherà pienamente.
Il tema della Visibilità può sembrare scontato per noi fotografi. Ma credo che Calvino si riferisse all'immaginazione, alle immagini mentali, più che a quelle reali. Dunque alla memoria. E questo ci riguarda, eccome. Compito del fotografo è trasfigurare una percezione, un contenuto retinico, fino a favorire la costruzione di una sensazione, di un’emozione, o addirittura di un pensiero, che lega passato, presente e futuro. L’immagine, nella psiche umana, è l’anello intermedio tra l’emozione e la parola. Il fotografo lavora esattamente in quello spazio transitorio, e sarà tanto più bravo, penso io, quanto più riuscirà a trasformare la visibilità in visionarietà. L'essenziale, ci ricorda Saint Exupéry, è invisibile agli occhi.
Auspicare rapidità, esattezza, leggerezza non significa che una foto debba essere un fatto effimero, o debba occuparsi di un unico campo semantico. Un singolo segno può creare infiniti rimandi e toccare una Molteplicità di significati. La fotografia, per serendipità, può svelare versanti di senso che neanche sapeva di cercare. Ed è questo, più di tutto, che la rende interessante ai miei occhi.
L'ultima lezione di Calvino riguarda il Cominciare e il Finire. Credo che in una fotografia la fine sia sempre qualcosa che eccede i limiti materiali del fotogramma. Credo nelle immagini come generatrici di storie, quindi la fine, se c'è, è sempre qualcosa che riguarda i fruitori (compreso l’autore, fruitore della propria stessa immagine). Quanto al cominciare, una cosa possiamo dire senza tema di smentite: l'inizio di una fotografia è sempre un dato di realtà. Altrimenti stiamo parlando di un’altra Arte.
Non vorrei aver piegato arbitrariamente il pensiero di Calvino sul mio. Se così fosse, me ne scuso. D'altronde questo è il destino di uno scritto, come pure di una fotografia: essere introiettato, masticato e travisato... ciascuno come vuole o come può, al di là delle intenzioni dell'autore. Capiterà lo stesso anche a questo mio piccolo testo.
Sulla scorta di queste brevi riflessioni, preoccupato per il cimento ma pieno di buone intenzioni, mi accingo a iniziare il mio già annunciato modesto progetto di “una foto al giorno” per il prossimo mese di agosto. Stay tuned!