Aniello Barone – Detta Innominata
Inviato: ven gen 18, 2019 4:01 pm
Aniello Barone – Via Bernardo Quaranta, 8/2005
Aniello Barone, fotografo e sociologo napoletano, ha dedicato un libro, “Detta Innominata” (Peliti Associati, 2006), a San Giovanni a Teduccio, il quartiere in cui è nato e vive.
Un libro di reportage bello, intenso, con un bianco e nero palpitante. “Innominata” è il nome con cui viene indicata la via principale del quartiere, ed è già un programma, l’emblema scontato di un'anomia che è sperdimento, labilità identitaria, confusione valoriale, vuoto di speranza.
Il volume di Aniello, vincitore nel 2007 del Premio Bastianelli, lavora a recuperare il senso di un’appartenenza a cui egli per primo non vuol rinunciare, attraverso un percorso di approfondimento che non è denuncia né spettacolarizzazione, ma in primo luogo condivisione. La tessitura di un filo di interessenza, di storie vissute, di pensiero in costruzione, che leghi insieme i pezzi di una realtà frammentata e dura, per cercarne l'anima, l’alito vitale, un sentimento di speranza. La ribellione a un destino che da fuori appare univocamente segnato, ma che, visto da dentro, appare ancora tutto da scrivere. Un’opera in cui “la nostalgia della memoria si salda con la speranza del presente”, scrive Antonio Borrello nella prefazione.
La foto che ho scelto trovo sia un concentrato di fiabesca tenerezza e crudo realismo, senza smanceria e senza voyeurismo. La composizione, di elegante taglio classico, mostra due bambini in chiara relazione affettiva, all'interno di una precisa scala gerarchica che stabilisce senza equivoci i ruoli del grande e del piccolo, del protettore e del protetto. Esibiscono i propri corpi con ingenua condiscendenza narcisistica, appena temperata da un ineluttabile senso di rassegnazione.
L'orecchino e il tatuaggio del ragazzino appaiono fregi di una carriera in rapida e precoce ascesa. Non sappiamo decodificarne il grado, ma sappiamo che essi sono punti fondanti della sua statura identitaria, e sono conseguentemente centrali nella posa e nell'economia della foto. La ragazzina sembra assumere naturalmente il suo ruolo di “comprimaria ad elevato gradiente”. Occupa il suo posto di secondo piano con leggerezza, con il vezzo appena accennato di un gesto seduttivo racchiuso nella posa plastica delle mani affusolate. Esercita il potere della sua acerba femminilità con naturalezza, senza sforzo, consapevole di essere destinata a diventare il fulcro di quel microcosmo, a patto che sappia mantenere nella vita la sua posizione di artefatta marginalità. Un punctum, diremmo con Barthes, non fosse che appaiono così lontane le elucubrazioni semiologiche, quando la vita ci si presenta con tale evidenza espressiva.
La vista sul cortile aumenta il senso di intimità di questo scatto, che sembra carpito come una gemma preziosa da un contesto non abituato a essere osservato con occhi troppo disinteressati, addirittura amorevoli.
Questa foto di Aniello Barone è uno spaccato sociologico compiuto. Non urla, non giudica, non tende l'indice, non sbircia curioso. Raccoglie una intimità rara, svela sogni non ancora sognati, individua prospettive possibili, rese complicate da un inveterato fatalismo. Un racconto fatto di silenzi, di sguardi, di allusioni, di teneri sorrisi e occhi pensosi. I soggetti si affidano alla fotocamera come ci si affida a un fratello. E, nella magia della foto di Barone, ciascuno di noi può sentirsi fratello, anche solo per lo spazio della fruizione, e dare il proprio cognome a questi personaggi “innominati”.