Antoine D'Agata - Mala Noche
Inviato: gio ott 18, 2018 11:00 pm
Cari amici, ho il piacere, l'onere e l'onore di inaugurare questa nuova sezione. Lo faccio con una foto che mi sta molto a cuore.
Antoine D'Agata, Mala Noche, Pag. 38
Antoine D'Agata ha sempre rivolto il suo obiettivo verso gli emarginati: prostitute, tossicodipendenti, senzatetto. Il suo libro più famoso, “Mala noche”, pubblicato nel 1998 e divenuto ormai autentico oggetto di culto, raccoglie la parte forse più cruda e autentica di questa ricerca, nelle notti malate delle bidonville messicane, abitate alla stessa altezza dei suoi soggetti, gli altri libri, pur ugualmente belli e intensi, essendo più ricercati e sofisticati.
A pag. 38 del libro troviamo questa foto, che considero tra le sue più significative, impressa indelebilmente nel mio immaginario.
La rigorosa vena verista di D'Agata trova in questa immagine un sincretismo perfetto tra la semantica della situazione e la sintassi della disciplina fotografica. La foto ha una evidente forza descrittiva, racconta in modo esplicito, in puro stile reportage, ma allo stesso tempo è dotata di una potente energia evocativa. Il fruitore è compartecipe dello strapiombo esistenziale della giovane donna, ne condivide l'alienazione e la disperazione, temperata dal momentaneo, ingannevole, sollievo della sostanza. La perturbazione formale del fotogramma, l'orizzonte storto, la grana grossa, la prospettiva enfatica, delineano una sorta di isomorfismo morale e ci fanno entrare dentro la condizione del soggetto più di quanto gli aspetti contenutistici ci consentano. Il pudore della ragazza nel gesto di nascondere il viso, e il rispetto da parte del fotografo, riducono l'elemento identitario e amplificano a dismisura il potenziale identificativo, a cui l'osservatore attento non può sottrarsi. La trasgressione delle regole fotografiche non è qui un vezzo d'artista, ma una precisa scelta espressiva del narratore, che, attraverso di esse, ci proietta “corporalmente” nelle medesime condizioni psicofisiche del suo soggetto.
La bellezza qui non è cercata né rifuggita, è il risultato inevitabile della complessa, eppur istintiva, realizzazione di una felice combinazione di condizioni interne ed esterne all'autore: occhio, mente, cuore, direbbe Cartier Bresson, qui perfettamente allineati.
Termino con le parole di D'Agata:
"Nessuna fotografia può pretendere di mostrare la verità. Una foto mostra solo una determinata situazione sotto una prospettiva molto specifica, consapevolmente o meno, apertamente o meno, in modo rilevante o meno".
Antoine D'Agata, Mala Noche, Pag. 38
Antoine D'Agata ha sempre rivolto il suo obiettivo verso gli emarginati: prostitute, tossicodipendenti, senzatetto. Il suo libro più famoso, “Mala noche”, pubblicato nel 1998 e divenuto ormai autentico oggetto di culto, raccoglie la parte forse più cruda e autentica di questa ricerca, nelle notti malate delle bidonville messicane, abitate alla stessa altezza dei suoi soggetti, gli altri libri, pur ugualmente belli e intensi, essendo più ricercati e sofisticati.
A pag. 38 del libro troviamo questa foto, che considero tra le sue più significative, impressa indelebilmente nel mio immaginario.
La rigorosa vena verista di D'Agata trova in questa immagine un sincretismo perfetto tra la semantica della situazione e la sintassi della disciplina fotografica. La foto ha una evidente forza descrittiva, racconta in modo esplicito, in puro stile reportage, ma allo stesso tempo è dotata di una potente energia evocativa. Il fruitore è compartecipe dello strapiombo esistenziale della giovane donna, ne condivide l'alienazione e la disperazione, temperata dal momentaneo, ingannevole, sollievo della sostanza. La perturbazione formale del fotogramma, l'orizzonte storto, la grana grossa, la prospettiva enfatica, delineano una sorta di isomorfismo morale e ci fanno entrare dentro la condizione del soggetto più di quanto gli aspetti contenutistici ci consentano. Il pudore della ragazza nel gesto di nascondere il viso, e il rispetto da parte del fotografo, riducono l'elemento identitario e amplificano a dismisura il potenziale identificativo, a cui l'osservatore attento non può sottrarsi. La trasgressione delle regole fotografiche non è qui un vezzo d'artista, ma una precisa scelta espressiva del narratore, che, attraverso di esse, ci proietta “corporalmente” nelle medesime condizioni psicofisiche del suo soggetto.
La bellezza qui non è cercata né rifuggita, è il risultato inevitabile della complessa, eppur istintiva, realizzazione di una felice combinazione di condizioni interne ed esterne all'autore: occhio, mente, cuore, direbbe Cartier Bresson, qui perfettamente allineati.
Termino con le parole di D'Agata:
"Nessuna fotografia può pretendere di mostrare la verità. Una foto mostra solo una determinata situazione sotto una prospettiva molto specifica, consapevolmente o meno, apertamente o meno, in modo rilevante o meno".