Keith Carter – A Certain Alchemy
- Carlo Riggi
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Keith Carter – A Certain Alchemy
Keith Carter - Radio Flyer, 2000
Sempre in bilico, Keith Carter. Il fotografo americano, adesso settantenne, mi è parso sempre a metà, tra verità e finzione, tra spontaneità e costruzione, tra desiderio e paura, tra illusione e realtà. Anche la sua definizione più nota, “realista trascendente”, si colloca esattamente a mezzo tra due dimensioni opposte di spazio-tempo.
Un luogo che affascina, questo intercapedine, questo corridoio tra la stanza da letto del bambini e quella dei genitori, perché è il luogo della fantasia, del gioco e del sogno.
Esattamente lì si colloca l'immagine che ho scelto di commentare, “Radio Flyer”, pubblicata nella raccolta “A Certain Alchemy”, del 2008. Il bambino col suo carrellino si approssima all'enorme velivolo militare con un misto di audacia, eccitazione e angoscia. Noi siamo lì con lui, anzi siamo lui, piccoli e indifesi, eppure enormemente attratti, rapiti dal carico di potenza e di violenza emanato da quell'aereoplano. Al cui cospetto, il carrellino del bimbo assume la stessa valenza del suo piccolo pene di fronte a quello del papà.
Carter dice di usare per le sue foto un espediente, la pellicola caricata storta dentro vecchie fotocamere medio formato, in modo che solo parte del fotogramma risulti a fuoco. Un metodo che lascia spazio all'aleatorietà, all'inconscio del mezzo. Che sia anche questa una verità a mezzo? Chi può dirlo. Ma se questi sono i risultati, ben vengano qualche volta anche le “mezze bugie”.
Ciao
Carlo
Carlo
- MarcoBiancardi
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Re: Keith Carter – A Certain Alchemy
La Fotografia per esprimere il proprio mondo interiore più che per raccontare il mondo e la società.
Una delle tante strade che essa può prendere, che io personalmente sento meno affine, pur riconoscendone il valore artistico.
Una delle tante strade che essa può prendere, che io personalmente sento meno affine, pur riconoscendone il valore artistico.
- Carlo Riggi
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Re: Keith Carter – A Certain Alchemy
Capisco, caro Marco. Ma quando noi con la nostra fotografia "raccontiamo il mondo" cos'altro facciamo se non raccontare noi stessi, o quanto meno il nostro intimo rapporto con quella porzione di mondo?
Ciao
Carlo
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- MarcoBiancardi
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Re: Keith Carter – A Certain Alchemy
Certamente, Carlo.
Io parlavo infatti di mia “affinità” verso alcuni stili fotografici piuttosto che per altri.
Vero senz’altro che la mediazione dello sguardo e dell’interiorità del fotografo interviene sempre anche nelle forme apparentemente più oggettive di fotografia.
Altra cosa è costruire come in un set cinematografico un mondo parallelo, che sia il proprio interiore o ad imitazione del reale secondo il proprio sentire.
Approcci diversi, entrambe forme espressive valide.
Io parlavo infatti di mia “affinità” verso alcuni stili fotografici piuttosto che per altri.
Vero senz’altro che la mediazione dello sguardo e dell’interiorità del fotografo interviene sempre anche nelle forme apparentemente più oggettive di fotografia.
Altra cosa è costruire come in un set cinematografico un mondo parallelo, che sia il proprio interiore o ad imitazione del reale secondo il proprio sentire.
Approcci diversi, entrambe forme espressive valide.