W. Eugene Smith – Minamata
Inviato: lun nov 12, 2018 10:59 pm
W. Eugene Smith –Tomoko Uemura in Her Bath, 1971
Ed eccoci al cospetto di un mostro sacro, W. Eugene Smith e la sua foto più rappresentativa, l’immagine simbolo del reportage su “Minamata”, il villaggio di pescatori giapponese del distretto di Kyshu decimato dalla terribile malattia neurologica provocata dalle emissioni inquinanti dell’industria chimica Chisso Corporation. Il mercurio rilasciato in mare veniva ingerito dai pesci e reintrodotto nella catena alimentare degli abitanti del povero villaggio.
Eugene Smith è il fotografo di reportage per antonomasia, probabilmente il più profondo, il più meticoloso, il più elegante, ancora oggi punto di riferimento per ogni fotoreporter.
Tanto preciso Smith da guadagnarsi qualche critica sulla posa eccessivamente studiata di alcune sue foto, tra cui proprio quella in oggetto. La fotografia raffigura una madre che culla la figlia, gravemente deformata, in un bagno giapponese tradizionale. La signora Uemura acconsentì a posare deliberatamente per questa fotografia sorprendentemente intima, per illustrare i terribili effetti della malattia di Minamata sul corpo e sulla mente della figlia Tomoko.
Con grande evidenza ci troviamo di fronte ad una “Pietà”, la cui forza rappresentativa, fatte le dovute proporzioni, non si distacca molto da quella della scultura marmorea di Michelangelo. Il bianconero denso, fortemente contrastato, è perfettamente funzionale ad una composizione complessa eppure perfetta, senza neppure un dettaglio fuori posto. Agli occhi retroflessi della bimba in cerca della luce, di un punto di repere nel vuoto cosmico della sua mente devastata, e alle manine orribilmente contorte, fa da contraltare lo sguardo amorevole della madre, il suo sorriso appena accennato, dolcissimo e devoto, la morbidezza delle sue forme.
La nudità dei due corpi contribuisce a infondere intimità e calore nell’osservatore, che si trova immerso in un’esperienza di totale compenetrazione nella scena, alternando la propria identificazione ora con la bimba malata, ora con la madre accudente.
L’effetto di questa fotografia fu dirompente all’epoca, e accese i riflettori su una realtà ambientale scandalosa, fino ad allora quasi sconosciuta, più di quanto la più dettagliata relazione giornalistica potesse fare.
Smith era pienamente consapevole della potenza del mezzo che maneggiava con tanta padronanza, e assai impegnato a controllarne le potenziali derive attraverso una ferrea disciplina etica, oltre che estetica.
A questo proposito, e per concludere, estrapolo alcune sue frasi:
“La fotografia è un potente mezzo d’espressione. Usata in modo appropriato ha un grande potere di miglioramento e conoscenza; usata in modo sbagliato può accendere fuochi preoccupanti.
(…) Fino al momento dello scatto, e incluso questo, il fotografo lavora in modo innegabilmente soggettivo. Con la scelta dell’approccio tecnico (che è strumento di controllo emotivo), la scelta del soggetto da inquadrare dentro i confini del negativo, l’individuazione dell’esatto momento cruciale dell’esposizione, egli combina le variabili interpretative in un insieme emotivo che costituirà la base della formazione dell’opinione nei fruitori.”