Ciao, scusate il ritardo.
Ciao, scusate il ritardo.
Buon giorno e buona luce a tutti voi.
Premesso che sono qui tra voi per imparare, vi dirò che per me fotografare è, prima di tutto, desiderio.
Indispensabile, irrefrenabile, desiderio. Un esercizio continuo che coinvolge mente e corpo e a causa del quale, spesso, mi ritrovo a fotografare immaginificamente, anche solo col pensiero, senza camera.
Ma per fotografare il mondo che ci circonda, non basta vederlo, bisogna imparare a guardarlo e, prima ancora, educarsi ad “ascoltarlo”. Fotografare mi insegna, passo dopo passo, tutto questo.
Lo scatto è sineddoche, parte di un tutto che si sviluppa, progredisce e si manifesta in momenti e luoghi, sia fisici che mentali, dislocati in spazi e tempi diversi.
Qualcuno sostiene che ogni scatto, anche quello realizzato nel modo più automatico e istintivo, ci descrive, racchiude in sé il nostro universo culturale, il mondo dei nostri valori, delle nostre relazioni e dei nostri sentimenti. Ogni scatto è ad un tempo razionalmente pre-meditato, pensato e, contemporaneamente, inconsapevolmente e inconsciamente voluto. Ogni scatto è ricerca: prima è ipotizzato, formulato; poi, una volta realizzato, è trattato, ri-pensato, finalizzato e solo alla fine, forse, mostrato.
Se è vero che in ogni nostra foto c’è una parte di noi, più o meno nascosta o visibile, è giusto allora affermare che ogni fotografo “è ciò che scatta”.
Fotografare ha inoltre a che fare, significativamente, col tempo e con l’ossessione che il tempo si porta appresso: l’angoscia della morte. Fermare il tempo, immortalare un istante affinché possa avere il sopravvento sull’ineluttabile destino di morte, è un gioco che va oltre l’origine della fotografia e che risale allo scontro primigènio dell’umanità tra Eros e Thanatos: fotografare è quindi anche per vivere e scattare è uno scongiuro, una sfida per affermare di “esserci”.
Ultimamente fotografare mi porta a scrivere, come se la foto mi invitasse a proseguire, con un altro linguaggio, il percorso di ricerca. E mi interrogasse e mi chiedesse di andare oltre. Lo scrivere non è mai per spiegare e mi pare più il desiderio di rin-tracciare un punto di riflessione al fine di una successiva ri-partenza, un gioco al rilancio: pensare, scattare, pensare, scrivere, ancora scattare e così di seguito.
In questo mio giostrare tra i due linguaggi, l’immagine cercata, desiderata, vorrebbe essere, così come ci suggerisce Carlo Riggi, un’immagine poco “satura”. Un’immagine che, nella sua incompiutezza, vorrebbe lasciare a chi legge un interrogativo, una domanda di senso.
Una fotografia dove – così come avviene per la poesia – ampio spazio è lasciato alla capacità di chi legge/osserva di trovare nuovi significati, di immaginare nuove interpretazioni. Il non detto – le assenze, i mossi, i tagli “inaccettabili”, le sgranature inautentiche, i fuori fuoco – per evocare, alludere, per suggerire interpretazioni altre.
Fotografare per offrire pre-testi allo scrivere e, così di seguito, scrivere per immagin-are nuove suggestioni fotografiche.
Premesso che sono qui tra voi per imparare, vi dirò che per me fotografare è, prima di tutto, desiderio.
Indispensabile, irrefrenabile, desiderio. Un esercizio continuo che coinvolge mente e corpo e a causa del quale, spesso, mi ritrovo a fotografare immaginificamente, anche solo col pensiero, senza camera.
Ma per fotografare il mondo che ci circonda, non basta vederlo, bisogna imparare a guardarlo e, prima ancora, educarsi ad “ascoltarlo”. Fotografare mi insegna, passo dopo passo, tutto questo.
Lo scatto è sineddoche, parte di un tutto che si sviluppa, progredisce e si manifesta in momenti e luoghi, sia fisici che mentali, dislocati in spazi e tempi diversi.
Qualcuno sostiene che ogni scatto, anche quello realizzato nel modo più automatico e istintivo, ci descrive, racchiude in sé il nostro universo culturale, il mondo dei nostri valori, delle nostre relazioni e dei nostri sentimenti. Ogni scatto è ad un tempo razionalmente pre-meditato, pensato e, contemporaneamente, inconsapevolmente e inconsciamente voluto. Ogni scatto è ricerca: prima è ipotizzato, formulato; poi, una volta realizzato, è trattato, ri-pensato, finalizzato e solo alla fine, forse, mostrato.
Se è vero che in ogni nostra foto c’è una parte di noi, più o meno nascosta o visibile, è giusto allora affermare che ogni fotografo “è ciò che scatta”.
Fotografare ha inoltre a che fare, significativamente, col tempo e con l’ossessione che il tempo si porta appresso: l’angoscia della morte. Fermare il tempo, immortalare un istante affinché possa avere il sopravvento sull’ineluttabile destino di morte, è un gioco che va oltre l’origine della fotografia e che risale allo scontro primigènio dell’umanità tra Eros e Thanatos: fotografare è quindi anche per vivere e scattare è uno scongiuro, una sfida per affermare di “esserci”.
Ultimamente fotografare mi porta a scrivere, come se la foto mi invitasse a proseguire, con un altro linguaggio, il percorso di ricerca. E mi interrogasse e mi chiedesse di andare oltre. Lo scrivere non è mai per spiegare e mi pare più il desiderio di rin-tracciare un punto di riflessione al fine di una successiva ri-partenza, un gioco al rilancio: pensare, scattare, pensare, scrivere, ancora scattare e così di seguito.
In questo mio giostrare tra i due linguaggi, l’immagine cercata, desiderata, vorrebbe essere, così come ci suggerisce Carlo Riggi, un’immagine poco “satura”. Un’immagine che, nella sua incompiutezza, vorrebbe lasciare a chi legge un interrogativo, una domanda di senso.
Una fotografia dove – così come avviene per la poesia – ampio spazio è lasciato alla capacità di chi legge/osserva di trovare nuovi significati, di immaginare nuove interpretazioni. Il non detto – le assenze, i mossi, i tagli “inaccettabili”, le sgranature inautentiche, i fuori fuoco – per evocare, alludere, per suggerire interpretazioni altre.
Fotografare per offrire pre-testi allo scrivere e, così di seguito, scrivere per immagin-are nuove suggestioni fotografiche.
Ultima modifica di NicScogna il mer apr 04, 2018 3:57 pm, modificato 2 volte in totale.
Buona luce
Nicola
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- MarcoBiancardi
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Re: Ciao, scusate il ritardo.
Un testo molto interessante il tuo, Nick.
Benvenuto con le tue parole che testimoniano di un rapporto molto sentito e profondo con la Fotografia, giustamente interpretata non solo come arte o forma espressiva a sé, ma integrata in un continuum di interessi e aspetti culturali che ogni fotografo si porta dietro.
Aspettiamo ora con curiosità altre tue testimonianze fotografiche.
Benvenuto con le tue parole che testimoniano di un rapporto molto sentito e profondo con la Fotografia, giustamente interpretata non solo come arte o forma espressiva a sé, ma integrata in un continuum di interessi e aspetti culturali che ogni fotografo si porta dietro.
Aspettiamo ora con curiosità altre tue testimonianze fotografiche.
Re: Ciao, scusate il ritardo.
Grazie Marco, ora mi guardo intorno e cerco di comprendere meglio il funzionamento di "Close".
Vi seguo con molto interesse
Ciao
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Buona luce
Nicola
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Re: Ciao, scusate il ritardo.
Caro Fabio grazie delle tue osservazioni. Per quanto riguarda le immagini "finto colore" devo dirti che anche a me fanno un certo effetto e mi sento sempre in difficoltà nel momento della post-produzione. Il fatto è che fanno parte di una serie di immagini che andranno a costituire una ricerca (che poi diventerà un video) dal titolo Milano SottoSopra. Ad una Milano luminosa dei grattacieli e dei cristalli, si contrappone una Milano sotterranea, quella delle metropolitane, dove anche i colori sono artificiosi, sbiancati ...
Buona luce
Nicola
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- Carlo Riggi
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Re: Ciao, scusate il ritardo.
L'immagine è l'anello di congiunzione tra l'emozione grezza, di per sé irrappresentabile, e la parola (che non esisterebbe senza).
In questa dimensione intermedia, l'immagine racchiude in sé le qualità della piena pregnanza emozionale e della possibilità di condividerla, in maniera non così codificata da permettere solo una lettura unica e inequivoca, ma nemmeno così indefinita come sarebbe un'emozione priva di forma.
L'immagine è la natura del sogno, e contiene in sé quasi sempre un rebus.
Benvenuto Nicola!
In questa dimensione intermedia, l'immagine racchiude in sé le qualità della piena pregnanza emozionale e della possibilità di condividerla, in maniera non così codificata da permettere solo una lettura unica e inequivoca, ma nemmeno così indefinita come sarebbe un'emozione priva di forma.
L'immagine è la natura del sogno, e contiene in sé quasi sempre un rebus.
Benvenuto Nicola!
Ciao
Carlo
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Re: Ciao, scusate il ritardo.
Nulla da aggiungere ai commenti precedenti, ti do il benvenuto
Cordialmente
Giuseppe
Giuseppe
Re: Ciao, scusate il ritardo.
Grazie ancora a tutti voi.
Quindi Carlo, se ho ben capito il cerchio si stringe: se parola non esiste senza immagine e se immagine è natura del sogno, considerando il fatto che il sogno se non interpretato svanisce, è ancora la parola che, a dispetto della nostra società cosiddetta dell'immagine, ha la "responsabilità" di tenere insieme il tutto?
Quindi Carlo, se ho ben capito il cerchio si stringe: se parola non esiste senza immagine e se immagine è natura del sogno, considerando il fatto che il sogno se non interpretato svanisce, è ancora la parola che, a dispetto della nostra società cosiddetta dell'immagine, ha la "responsabilità" di tenere insieme il tutto?
Buona luce
Nicola
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- Carlo Riggi
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Re: Ciao, scusate il ritardo.
Il cerchio si stringe, ma uno dei presupposti va discusso. Tu dici che, se non interpretato, il sogno svanisce. Sì e no.
In realtà, nulla svanisce. Dovremmo pensare che le esperienze fatte nei primi due anni di vita, benché non ricordate e verbalizzate, scompaiano dalla nostra storia psichica? Naturalmente no. Perché non esiste un solo tipo di memoria, e certamente non esiste solo la memoria "cosciente", esplicita.
L'immagine, dicevamo, è una via di mezzo tra l'emozione grezza - irrappresentabile - e la parola. E' già dunque una rappresentazione, e, foss'anche destinata a lasciare solo una traccia retinica, entra già in una memoria (in realtà anche l'emozione grezza produce memoria, ma lì siamo completamente nel campo dell'inconscio).
Mi stimoli però a fare un altro passo.
Noi abbiamo un'idea del sogno probabilmente ancora legata alle nozioni di sonno, fase REM, ecc.
La moderna psicoanalisi concepisce il sogno in modo un po' diverso, come una funzione costante della mente, un flusso onirico continuo, notturno e diurno. Una specie di dimensione parallela, che procede affiancata a quella della coscienza.
Il sogno tradizionale, così come lo conosciamo, è un segmento di questo flusso continuo che, grazie a una regia inconscia, va a costituire il film del sogno: che a volte ricordiamo, tal'altra non recuperiamo alla coscienza, ma sappiamo di averlo fatto.
Non è l'unica manifestazione di questo flusso. A volte si presentano fenomeni diversi, interlocutori: flash onirici della veglia, pseudoallucinazioni, dejà vu, ecc.
Capisci dunque che il sogno, così come lo intendiamo comunemente, è un prodotto evoluto, sofisticato, frutto di una sapiente regia in grado di selezionare frammenti di questo "girato" inconscio, prelevarli e utilizzarli per "montare" il film. Non è quello che facciamo più o meno quando realizziamo una foto?..
L'interpretazione (vogliamo dire "le" interpretazioni?) è un passaggio successivo, conferisce diversa consapevolezza, diversa pensabilità, più ampia espansione dei significati. La parola ha senz'altro una grande responsabilità. Ma anche il sogno in sé contiene già elementi importanti di significazione. E quelli restano e agiscono, anche quando non esplicitati in forma verbale.
In realtà, nulla svanisce. Dovremmo pensare che le esperienze fatte nei primi due anni di vita, benché non ricordate e verbalizzate, scompaiano dalla nostra storia psichica? Naturalmente no. Perché non esiste un solo tipo di memoria, e certamente non esiste solo la memoria "cosciente", esplicita.
L'immagine, dicevamo, è una via di mezzo tra l'emozione grezza - irrappresentabile - e la parola. E' già dunque una rappresentazione, e, foss'anche destinata a lasciare solo una traccia retinica, entra già in una memoria (in realtà anche l'emozione grezza produce memoria, ma lì siamo completamente nel campo dell'inconscio).
Mi stimoli però a fare un altro passo.
Noi abbiamo un'idea del sogno probabilmente ancora legata alle nozioni di sonno, fase REM, ecc.
La moderna psicoanalisi concepisce il sogno in modo un po' diverso, come una funzione costante della mente, un flusso onirico continuo, notturno e diurno. Una specie di dimensione parallela, che procede affiancata a quella della coscienza.
Il sogno tradizionale, così come lo conosciamo, è un segmento di questo flusso continuo che, grazie a una regia inconscia, va a costituire il film del sogno: che a volte ricordiamo, tal'altra non recuperiamo alla coscienza, ma sappiamo di averlo fatto.
Non è l'unica manifestazione di questo flusso. A volte si presentano fenomeni diversi, interlocutori: flash onirici della veglia, pseudoallucinazioni, dejà vu, ecc.
Capisci dunque che il sogno, così come lo intendiamo comunemente, è un prodotto evoluto, sofisticato, frutto di una sapiente regia in grado di selezionare frammenti di questo "girato" inconscio, prelevarli e utilizzarli per "montare" il film. Non è quello che facciamo più o meno quando realizziamo una foto?..
L'interpretazione (vogliamo dire "le" interpretazioni?) è un passaggio successivo, conferisce diversa consapevolezza, diversa pensabilità, più ampia espansione dei significati. La parola ha senz'altro una grande responsabilità. Ma anche il sogno in sé contiene già elementi importanti di significazione. E quelli restano e agiscono, anche quando non esplicitati in forma verbale.
Ciao
Carlo
Carlo
Re: Ciao, scusate il ritardo.
Carlo se non rispondo subito è perché i tuoi scritti richiedono il "giusto" tempo per essere compresi e inoltre sogno e psicanalisi sono per me ambiti estranei, dove mi muovo con grande incertezza. Però l'idea che quando soli, soletti noi si cammini comunque in compagnia di un "girato" inconscio è molto interessante: può allo stesso tempo rassicurare, ma anche essere momento di inquietudine. Certo l'associazione tra questo "girato" inconscio e il nostro agire fotografico mi sembra assai feconda e dovrò, con più calma, rifletterci.
Ancora grazie Nicola
Ancora grazie Nicola
Buona luce
Nicola
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- Carlo Riggi
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- Iscritto il: mar gen 16, 2018 12:27 pm
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Re: Ciao, scusate il ritardo.
Se ci pensi, non più dell'idea che mentre facciamo qualunque cosa il nostro stomaco digerisce, i nostri reni filtrano e il nostro pancreas produce insulina... Così funzioniamo, e la nostra mente, quando è sana, fa quel lavoro là.
Grazie a te!
Ciao
Carlo
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- Andrea Podesta'
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- Iscritto il: mar feb 06, 2018 10:43 am
Re: Ciao, scusate il ritardo.
...qui c'e' troppo da imparare ...
Intanto saluto Nicola con un benvenuto e parto con una domanda a Carlo che prende spunto dall'ultima frase :
Mente sana; e se la mente sana non e' , e' il sogno a sacrificarsi o l'esatto contrario ?
Intanto saluto Nicola con un benvenuto e parto con una domanda a Carlo che prende spunto dall'ultima frase :
Mente sana; e se la mente sana non e' , e' il sogno a sacrificarsi o l'esatto contrario ?
- MarcoBiancardi
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- Iscritto il: mar gen 16, 2018 10:37 am
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Re: Ciao, scusate il ritardo.
È proprio bello il nostro forum, oltre a tanta buona Fotografia anche tanti interventi interessanti, cultura fotografica e oltre, psicanalisi e oggi si spazia anche nei territori della fisiologia e psico neurobiologia!
Bravi Nic e Carlo, i miei complimenti.
Bravi Nic e Carlo, i miei complimenti.
- Carlo Riggi
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Re: Ciao, scusate il ritardo.
Il sogno è la funzione simbolica per eccellenza. Una mente non sana è una mente che non riesce ad elaborare, a "digerire", gli stimoli grezzi della realtà per farne contenuti mentalizzabili (ed, eventualmente, "dimenticabili" *, o, nel nostro gergo, "rimovibili"). Questi stimoli non digeriti vanno a sovraccaricare l'apparato psichico fino a determinarne il cedimento. E' quel che intendiamo per "trauma", cioè il sovraccarico di stimoli non elaborabili.Andrea Podesta' ha scritto: ↑sab apr 07, 2018 12:21 pmuna domanda a Carlo che prende spunto dall'ultima frase :
Mente sana; e se la mente sana non e' , e' il sogno a sacrificarsi o l'esatto contrario ?
Se le funzioni proprie della mente non funzionano, e i contenuti non possono essere elaborati (tradotti in parola, come si diceva, ma non solo), le uniche possibilità di scarica di questi stimoli restano il sintomo, l'allucinazione, il delirio, la somatizzazione, l'agito (spesso aggressivo, o autolesionistico)... Sono tutte forme di rappresentazione di emozioni non elaborabili, non raffigurabili se non con un'azione di qualche tipo o con una malattia.
Ecco perché l'arte, la creatività e il sogno sono allo stesso tempo indici di sanità, ma anche - poiché sanità e patologia non sono quasi mai contrassegnate da confini netti - una via "terapeutica" per ripristinare la sana funzionalità della mente.
Spero di avere risposto.
* Da qualche parte, nel mio "L'esuberanza dell'ombra", scrivo che una fotografia è fatta tanto per ricordare quanto per dimenticare...
Ciao
Carlo
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- Andrea Podesta'
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- Iscritto il: mar feb 06, 2018 10:43 am
Re: Ciao, scusate il ritardo.
...Grazie Carlo della immediata e chiara risposta che apre una visione di percorso al mio vissuto, disseminato da tanti stimoli mal digeriti che, se hanno prodotto sogni , certamente sono di quelli che si cerca di dimenticare ....
Naturalmente le riflessioni a riguardo non finiscono qui, con queste poche considerazioni sulla tastiera che trova pero' il tempo di scrivere un ulteriore Grazie !
Naturalmente le riflessioni a riguardo non finiscono qui, con queste poche considerazioni sulla tastiera che trova pero' il tempo di scrivere un ulteriore Grazie !
Re: Ciao, scusate il ritardo.
molto interessante Carlo, ho sempre accostato il fotografare al sognare, e ora so anche perchè, grazie