La vicenda dell'autoritratto col politico ai funerali di Genova sta diventando l’ennesimo pretesto per mettere sotto accusa il “selfie”, fenomeno tanto diffuso quanto vituperato.
“L’inferno è l’altro” ha detto Sartre.
"Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da tempo", ha scritto Freud.
E dunque, ci angoscia di più ciò che ci è prossimo o ciò che ci è distante? Entrambi, forse, tanto più quando intuiamo lo sconosciuto tra quanto ci è più familiare, e, per esorcizzarlo, abbiamo bisogno di rappresentarlo.
Il selfie deve la sua deflagrante diffusione alla nascita di internet e dei social, ma il fenomeno è ben precedente. L’autoritratto ha origini antichissime, se pensiamo che forse persino le primitive incisioni rupestri rispondono alla stessa esigenza di rappresentazione, di testimonianza della propria esistenza.
Talvolta questo bisogno sfocia nella egolatria, un culto esasperato del Sé, e questo è il maggiore pericolo insito nella facilità di divulgazione immediata e dilagante che i moderni mezzi ci offrono. Ma il selfie ha vocazioni assai più benigne.
L’immagine di sé costituisce un doppio, come il riflesso allo specchio, ed è in grado di promuovere processi di separazione e differenziazione. Il doppio, nell’immagine riflessa allo specchio, è per Lacan il fondamento delle radici dell’Io.
Il doppio aiuta i processi di individuazione, esigenza primaria negli adolescenti, in cui il tema dell’identità è centrale e in impetuosa evoluzione.
Ma l’immagine del doppio può anche diventare più essenziale di colui che la produce e costituisce, per la sua immaterialità corporea, uno scudo immaginario contro la morte, difesa dall’annientamento. In questo senso, la ricorsività del selfie può assumere aspetti ossessivi e maniacali, come fu all’uscita di “Titanic”, quando frotte di ragazzine continuavano a rivedere il film nell’illusione, vana e vagamente delirante, di vedere per una volta sopravvivere il loro idolo Leonardo Di Caprio.
La condivisione del selfie ha a che fare col narcisismo, dunque, ma non come lo si intende comunemente. La vanità del muso “a culo di gallina” si accompagna a una funzione di testimonianza di esistenza in vita che il selfista cerca in sé e negli altri. Il narcisismo qui ha a che fare col bisogno di presentificarsi, prima ancora che col bisogno di piacersi, sia pur all’interno di un ideale narcisistico. Le sue origini vanno ricercate nei primi momenti di contatto visuale tra la madre e il bambino. Il bambino piccolo costruisce la propria identità rispecchiandosi negli occhi della madre, in essi il piccolo non vede direttamente se stesso ma ritrova ciò che la madre pensa – e desidera - che egli sia. Il bambino ritrova negli occhi materni quel che egli è ma ancora non sa di essere. Allo stesso modo, il fotografo ritrova nei propri soggetti, ancor più quando il soggetto è egli stesso, cose di sé che egli intuisce ma ancora non conosce.
In questo, il selfie non è dissimile dal vecchio “caro diario”, la rappresentazione e la narrazione di sé delimita i propri confini e modella il rapporto con gli altri. Non vi è nulla di patologico, se non quando diventasse una pratica compulsiva.
Trovo che alcuni selfie, nonostante il diffuso pregiudizio, siano interessanti anche sul piano strettamente fotografico.
Assoluzione piena, quindi? Non proprio.
Siamo partiti dai fatti di Genova. Sorvolando sulle responsabilità del politico che vi si è prestato, trovo ben più censurabile il comportamento di chi ha chiesto e ottenuto quella foto. Ciò che critico non è il desiderio di ritrarsi col proprio beniamino, ma la totale mancanza di considerazione del contesto.
Ecco, penso che i limiti del gesto, di per sé innocentemente narcisistico, siano quelli del buon gusto. Il selfie non è censurabile in sé, ma lo è quando diventa irrispettoso del contesto e delle situazioni. O quando diventa intrusivo, petulante, inutilmente ostensivo.
Eccessi perdonabili nel caso degli adolescenti, già descritti in una dolente ricerca di se stessi. Assai meno nei loro genitori che, tra l’altro, dei selfie sembrano godere più dei ragazzini, e spesso abusano di Facebook e degli altri social assai più dei loro figli.
Sul "selfie"
- Carlo Riggi
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Sul "selfie"
Ciao
Carlo
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- MarcoBiancardi
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Re: Sul "selfie"
grazie Carlo per la condivisione del tuo pensiero e deltuo sapere.
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Re: Sul "selfie"
Anch'io ti ringrazio per avermi 'costretto' a leggerti; lettura che mi ha indotto la seguente domanda:
Non è che i molti selfie realizzati nei luoghi in cui sono accadute disgrazie, nascono dalla necessità (per gli autori) di soddisfare il proprio Io interiore? Una sorta di "Voyeurismo" non sessuale, ma forse (per loro) non meno 'erotico' ?
Mi piacerebbe conoscere il tuo autorevole pensiero al riguardo.
Non è che i molti selfie realizzati nei luoghi in cui sono accadute disgrazie, nascono dalla necessità (per gli autori) di soddisfare il proprio Io interiore? Una sorta di "Voyeurismo" non sessuale, ma forse (per loro) non meno 'erotico' ?
Mi piacerebbe conoscere il tuo autorevole pensiero al riguardo.
Cordialmente
Giuseppe
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- Carlo Riggi
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Re: Sul "selfie"
Caro Giuseppe, non è semplice rispondere alla tua domanda. Proverò a farlo dal mio vertice di lettura, assai circoscritto e quindi non necessariamente esaustivo. Soprattutto, privo di connotazioni "morali", quindi senza giudizi sulla liceità di quei gesti.
Io credo che i selfie realizzati nei luoghi delle tragedie rispondano a un preciso imperativo inconscio: dimostrare di essere vivi. E' lo stesso atteggiamento che assumiamo in autostrada quando, passando accanto al teatro di un incidente, ci sporgiamo per guardare i rottami e le eventuali vittime: abbiamo bisogno di sapere di non essere tra coloro. Sembra strano a dirsi così, lo so, ma è lo stesso meccanismo di chi legge puntualmente ogni mattina la pagina dei necrologi o, qui al Sud, i muri con gli annunci mortuari. Ci informiamo sulla sorte di vicini e conoscenti, senz'altro, ma inconsciamente esercitiamo il nostro bisogno di trionfare sulla morte: "anche per oggi non sono tra loro".
Il condividere quelle foto, invece, rientra tra le dinamiche più generali espresse nel testo precedente. E, sì, tutto questo ha anche a che fare col voyeurismo, col buon (o cattivo) gusto, col sensazionalismo ecc. Purtroppo oggi sembra che dobbiamo fare colpo a tutti i costi. Mi ero ripromesso di non dare giudizi morali. Lo dico solo perché in fondo anche questo ha a che fare con la morte, in una società sempre più urlata, in cui farsi accorgere presuppone di urlare ancora più forte. E, per rientrare IT, ha a che fare in fondo anche con la mia "battaglia contro la bellezza", visto che anche in fotografia la tendenza è di ottenere risultati sempre più sensazionali, di quelli che ti fanno urlare all' "Oooh", e poi durano il tempo di un like. Spero di avere, almeno in parte, risposto.
Io credo che i selfie realizzati nei luoghi delle tragedie rispondano a un preciso imperativo inconscio: dimostrare di essere vivi. E' lo stesso atteggiamento che assumiamo in autostrada quando, passando accanto al teatro di un incidente, ci sporgiamo per guardare i rottami e le eventuali vittime: abbiamo bisogno di sapere di non essere tra coloro. Sembra strano a dirsi così, lo so, ma è lo stesso meccanismo di chi legge puntualmente ogni mattina la pagina dei necrologi o, qui al Sud, i muri con gli annunci mortuari. Ci informiamo sulla sorte di vicini e conoscenti, senz'altro, ma inconsciamente esercitiamo il nostro bisogno di trionfare sulla morte: "anche per oggi non sono tra loro".
Il condividere quelle foto, invece, rientra tra le dinamiche più generali espresse nel testo precedente. E, sì, tutto questo ha anche a che fare col voyeurismo, col buon (o cattivo) gusto, col sensazionalismo ecc. Purtroppo oggi sembra che dobbiamo fare colpo a tutti i costi. Mi ero ripromesso di non dare giudizi morali. Lo dico solo perché in fondo anche questo ha a che fare con la morte, in una società sempre più urlata, in cui farsi accorgere presuppone di urlare ancora più forte. E, per rientrare IT, ha a che fare in fondo anche con la mia "battaglia contro la bellezza", visto che anche in fotografia la tendenza è di ottenere risultati sempre più sensazionali, di quelli che ti fanno urlare all' "Oooh", e poi durano il tempo di un like. Spero di avere, almeno in parte, risposto.
Ciao
Carlo
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Re: Sul "selfie"
Caro Carlo, ti ringrazio per avere risposto in maniera direi più che esaustiva alla mia domanda.
Cordialmente
Giuseppe
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