Mi chiedo cosa sostenga il nostro bisogno di fotografare.
La mia idea è che si tratti di un'esigenza di narrazione, la stessa che ci spinge a scrivere su un forum come il nostro.
Desideriamo narrare ciò che abbiamo visto, ma più spesso, anche quando non ce ne rendiamo conto, siamo mossi dalla necessità di condividere un mistero, una stranezza, un buco nero, qualcosa che silenziosamente ma incisivamente ci interroga.
Alla fine, la valenza narrativa che governa il fotografare è praticamente capovolta: noi mostriamo agli altri affinché essi, attraverso le loro emozioni, ci raccontino quel che ci sembra di aver scorto, che abbiamo fissato con la nostra fotocamera, ma di cui non sappiamo nulla, neppure se lo abbiamo visto davvero.
Un riconoscimento senza conoscenza.
La sensibilità autoriale consiste primariamente nel riuscire a non sfuggire a questi stimoli amodali. Senza perderli o lasciarli scivolare come spesso facciamo con tante cose della vita.
Saper fotografare è quindi saper vivere, respirare ogni attimo, godere e soffrire intensamente senza sfuggire le emozioni legate all'implacabile acume dello sguardo.
Raccoglierle e organizzarle in attesa che qualcuno ce le racconti attraverso i propri occhi.
Mostrare le proprie foto è come la richiesta che il bambino a fine giornata fa alla mamma di raccontargli la sua favola prima di chiudere gli occhi.
Perché fotografiamo...
- Carlo Riggi
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Perché fotografiamo...
Ciao
Carlo
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- MarcoBiancardi
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Re: Perché fotografiamo...
come sempre, Carlo, sai andare molto in profondità quando ti dedichi all'analisi, che sia di una fotografia o dei comportamenti umani, in questo caso a quello dell' homo photographans.
Concordo con te nel fotografare come esigenza narrativa, di comunicare agli altri la nostra visione del mondo, soprattutto adesso che le attuali tecnologie hanno accentuato questo aspetto comunicativo - cioè di socializzazione del nostro produrre e far circolare immagini.
Un tempo forse questo aspetto era meno sentito, si fotografava - parlo a livello amatoriale - più per se stessi che per quei pochi amici cui si mostravano le proprie foto, ma si fotografava lo stesso.
C'era allora e resta ancora secondo me una esigenza interiore, indipendente dalla narrazione, forse un bisogno di auto-narrarsi, di indagare su se stessi, sulla propria relazione con ciò che sta fuori dal sè.
Mentre i propri sogni spesso vengono dimenticati e richiamarli e interpretarli implica un processo terapeutico, le nostre fotografie stanno materialmente presenti davanti a noi (anche nella parziale materialità della nuova tecnologia digitale) e possiamo noi stessi metterci lì a osservarle a e interrogarle affinché ci parlino di noi che le abbiamo scattate.
Un aspetto del fotografare quindi come di autoanalisi, che si sovrappone e si aggiunge all'altro aspetto citato da te, in cui ci si offre invece allo sguardo di osservatori estranei, chiedendo inconsciamente una interpretazione di ciò che noi abbiamo visto, fotografato e proposto, coinvolgendoli nel nostro sguardo.
Infine penso ci sia anche un terzo livello: esponendo le immagini che produciamo a uno sguardo terzo noi mettiamo a nudo anche noi stessi, alziamo un poco il sipario sul nostro mondo interiore, raccontiamo i nostri sogni, non più auto-modificati o auto-interpretati, ma fissati indelebilmente nell'alogenuro d'argento e nei pixel dei nostri moderni supporti.
Concordo con te nel fotografare come esigenza narrativa, di comunicare agli altri la nostra visione del mondo, soprattutto adesso che le attuali tecnologie hanno accentuato questo aspetto comunicativo - cioè di socializzazione del nostro produrre e far circolare immagini.
Un tempo forse questo aspetto era meno sentito, si fotografava - parlo a livello amatoriale - più per se stessi che per quei pochi amici cui si mostravano le proprie foto, ma si fotografava lo stesso.
C'era allora e resta ancora secondo me una esigenza interiore, indipendente dalla narrazione, forse un bisogno di auto-narrarsi, di indagare su se stessi, sulla propria relazione con ciò che sta fuori dal sè.
Mentre i propri sogni spesso vengono dimenticati e richiamarli e interpretarli implica un processo terapeutico, le nostre fotografie stanno materialmente presenti davanti a noi (anche nella parziale materialità della nuova tecnologia digitale) e possiamo noi stessi metterci lì a osservarle a e interrogarle affinché ci parlino di noi che le abbiamo scattate.
Un aspetto del fotografare quindi come di autoanalisi, che si sovrappone e si aggiunge all'altro aspetto citato da te, in cui ci si offre invece allo sguardo di osservatori estranei, chiedendo inconsciamente una interpretazione di ciò che noi abbiamo visto, fotografato e proposto, coinvolgendoli nel nostro sguardo.
Infine penso ci sia anche un terzo livello: esponendo le immagini che produciamo a uno sguardo terzo noi mettiamo a nudo anche noi stessi, alziamo un poco il sipario sul nostro mondo interiore, raccontiamo i nostri sogni, non più auto-modificati o auto-interpretati, ma fissati indelebilmente nell'alogenuro d'argento e nei pixel dei nostri moderni supporti.
- Carlo Riggi
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Re: Perché fotografiamo...
Caro Marco, credo che se ci diamo libertà di interpretare questo terzo come un possibile interlocutore interno, i nostri ragionamenti si congiungano saldamente. Grazie!
Ciao
Carlo
Carlo
- Alessandro Saponaro
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Re: Perché fotografiamo...
Concordo appieno con quanto avete scritto, ma a mio avviso non abbiamo ancora la risposta completa alla domanda posta da Carlo nell'incipit della discussione.
Nel senso che le stesse vostre validissime considerazioni potrebbero essere applicate qualsiasi forma d'arte, nessuna esclusa.
Perché proprio la fotografia?
E' solo una questione di personale inclinazione ad esprimersi in questa maniera o ci sono altre ragioni che rendono la fotografia diversa dalle altre forme espressive?
Nel senso che le stesse vostre validissime considerazioni potrebbero essere applicate qualsiasi forma d'arte, nessuna esclusa.
Perché proprio la fotografia?
E' solo una questione di personale inclinazione ad esprimersi in questa maniera o ci sono altre ragioni che rendono la fotografia diversa dalle altre forme espressive?
"A good traveler has no fixed plans, and is not intent on arriving" (Lao Tzu)
www.alessandrosaponaro.com
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- Carlo Riggi
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Re: Perché fotografiamo...
Giusta domanda, Alessandro.
Io credo che l'esigenza narrativa valga in effetti per qualunque forma di espressione. Quel che distingue la fotografia da altre arti è che essa non è mai puro frutto della fantasia dell'autore, ma parte sempre da un dato di realtà, trasfigurato o meno che sia. Questo dato di realtà potrebbe sbrigativamente essere scambiato per verità oggettiva, ma per me non lo è affatto, quella porzione di realtà esistendo, a mio avviso, solo perché la "raccogliamo" e nel modo in cui lo facciamo.
Così, mentre è chiaro come il narrarsi attraverso un dipinto sia il desiderio di chi esprime così un'istanza interiore, è meno scontato che un dato di realtà abbia bisogno di essere ri-narrato passando attraverso la sensibilità del fruitore.
La mia, ovviamente, è solo una delle tante risposte possibili alla domanda iniziale. La determinazione alla fotografia è certamente multiforme, legata alle caratteristiche di ciascun singolo fotografo.
Io credo che l'esigenza narrativa valga in effetti per qualunque forma di espressione. Quel che distingue la fotografia da altre arti è che essa non è mai puro frutto della fantasia dell'autore, ma parte sempre da un dato di realtà, trasfigurato o meno che sia. Questo dato di realtà potrebbe sbrigativamente essere scambiato per verità oggettiva, ma per me non lo è affatto, quella porzione di realtà esistendo, a mio avviso, solo perché la "raccogliamo" e nel modo in cui lo facciamo.
Così, mentre è chiaro come il narrarsi attraverso un dipinto sia il desiderio di chi esprime così un'istanza interiore, è meno scontato che un dato di realtà abbia bisogno di essere ri-narrato passando attraverso la sensibilità del fruitore.
La mia, ovviamente, è solo una delle tante risposte possibili alla domanda iniziale. La determinazione alla fotografia è certamente multiforme, legata alle caratteristiche di ciascun singolo fotografo.
Ciao
Carlo
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